Meno FoMO e più “famo”

//Meno FoMO e più “famo”

Meno FoMO e più “famo”

Ho appreso di recente, con una certa preoccupazione ma con poca sorpresa, dell’esistenza di una nuova sindrome, detta FoMO (Fear of Missing Out), letteralmente “paura di perdersi qualcosa”. E’ in sostanza la sindrome di chi è ossessivamente collegato ai social network, in ansia di sapere cosa “accade nel mondo”, che poi nel 99% dei casi significa il nuovo taglio di capelli di un’amica, il tagliere di sushi dell’ultimo ristorante alla moda ecc.

Gli adulti non ne sono immuni ma, neanche a dirlo, la sindrome colpisce più giovani e giovanissimi che hanno meno strumenti culturali per opporsi e che sono nati e cresciuti nell’era digitale e fanno quindi più fatica a distinguere reale da virtuale.

La dipendenza dal mondo virtuale (e la conseguente alienazione da quello reale), in Italia colpisce un adolescente su quattro, che è sempre connesso alla rete: “il 17% dei ragazzi intervistati dichiara di non riuscire a staccarsi da smartphone e social, 1 su 4 (25%) è sempre online, quasi 1 su 2 (45%) si connette più volte al giorno, 1 su 5 (21%) si sveglia durante la notte per controllare i messaggi arrivati sul cellulare”.

In Russia, e chissà dove altro, questa dipendenza ha avuto conseguenze estreme: 157 bambini e ragazzi russi si sono suicidati nell’ultimo anno per “vincere” al “gioco” virtuale Blue Whale (balenottera azzurra), al termine di 50 giorni di comportamenti autolesionisti dettati da un 22enne studente di psicologia, oggi agli arresti. Il comandamento numero 50 recita: “saltate da un edificio alto. Prendetevi la vostra vita”.
Morire per riprendersi la vita. Da adolescenti. Una bestemmia al quadrato.

Ecco perché il titolo: “meno FoMO e più famo”, romanesco per facciamo.

“Internet è guasta, e che sia guasta è sempre più evidente a tanta gente”: lo dice il co-fondatore ed ex Ceo di Twitter, Evan Williams, non l’ultimo arrivato quindi in un’intervista al New York Times.

Bisogna allora a parer mio, e con estrema urgenza, invogliare i ragazzi a fare esperienze reali, che facciano apprezzare, anche tramite momenti negativi che l’esperienza comporta, la vita reale: a giocare a calcio non con un joystick ma sbucciandosi le ginocchia in un campetto improvvisato, a stare tra gli amici anche litigandoci, a innamorarsi e lasciarsi per poi magari riprendersi, a fare progetti e lavori manuali, a viaggiare e cavarsela da soli, a non aver paura dei sentimenti o del sesso, a partecipare alla politica, fosse anche quella delle riunioni di condominio. Diciamo ai ragazzi: “famo, facciamo, qualsiasi cosa”, e cerchiamo di farlo con loro, perché i ragazzi hanno bisogno di una cosa sola: di attenzione, parola declinabile in cura/amore/guida… E poi insegniamo loro a vivere il momento, a focalizzarsi sulla bellezza dell’attimo fuggente, dopo il fare, insegniamo a stare nel qui e ora: un tramonto va fotografato con la mente, non con uno smartphone; uno spettacolo di un artista di strada va seguito con tutti i sensi, le mani libere di applaudire; un pranzo con gli amici con gli occhi fissi negli sguardi altrui e le orecchie tese alla loro parole. Trasmettiamo tutto questa saggezza dei sensi ai nostri ragazzi e cerchiamo di ricordarlo a noi stessi, perché, non nascondiamocelo, ce ne stiamo dimenticando anche noi.

E’ per questo che, alla Blue Whale, io vorrei ricordare a tutti il potere gioioso e al tempo stesso intimista della Biodanza, che mette al centro la sacralità della vita di ogni individuo e si tutto ciò che ci circonda.

E’ per questo che insisto su quanto ho scritto nel mio precedente “biodanza, vietato morire”: non è mai troppo presto per conoscere la biodanza e vorrei tanto che i genitori che leggono questo articolo venissero a provarla con i loro figli, bambini, adolescenti o adulti che siano.

Alberto Corbino

By | 2018-02-19T17:09:45+00:00 giugno 1st, 2017|Blog|3 Comments

About the Author:

3 Commenti

  1. Stefania 2 giugno 2017 al 07:45

    Grazie Alberto! Riuniamoci in cerchio, su un prato. Danziamo, facciamo un picnic, che suona come una parola antica e forse da ridere ed è bella proprio per questo. La vita è bella, quella vissuta con i 5 sensi, in relazione con gli altri e con l’aggiunta di un ingrediente: la coscienza di essere vivi e responsabili per la propria vita.

  2. Rosa 7 giugno 2017 al 15:38

    Il tuo articolo,caro Alberto,fa riflettere tantissimo e le tue parole sono cariche di saggezza.Grazie, grazie,grazie!!!
    Hai ragione da vendere.,i giovani hanno davvero bisogno che qucuno li riporti al mondo reale insegnando loro la grande gioia che si può provare soltanto “vivendo” la vita. Noi adulti abbiamo il dovere di fare questo e non solo per i nostri figli.
    Onorata di essere tua amica.Ti abbraccio forte forte.A prestissimo?

  3. Giulia 9 giugno 2017 al 06:45

    Sei GRANDE GRANDE GRANDE. Grazie di esistere io posso condividere e mostrare ciò ai miei alunni e alle mamme che sono anche mie alunne (longevity).Grazie???

Commenti disabilitati